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Molla tutto e vieni subito con me
ombrellificio SILVIA
Pubblicato da Francesca Riccardi in Racconti · Giovedì 06 Nov 2014


Le nuvole coprono il sole. I pachistani che vendono le rose scompaiono. È questione di pochi minuti e il cielo diventa scuro. Le gocce lievi di pioggia durano poco perché poi inizia a scendere con forza, l’acqua. Eccoli di nuovo, i pachistani, a lato dei portici, mi buttano davanti questi ombrelli piccoli, rossi, gialli o blu e poi quelli grandi verdi e bordeaux. Io preferisco sempre il cappuccio. Con due mani mi copro la testa e via. Corro fino a casa dove i coinquilini mi chiederanno l’ennesimo: com’è andato il colloquio? E io risponderò l’ennesimo “mi faranno sapere” guardando con malinconia l’attestato di Laurea in Lettere appeso da mia madre sul muro della cucina. Che a lei non l’avevo mai vista piantare un chiodo nel muro e lo aveva fatto con una forza! “Tum tum tum” con il martello finché non era ben saldo per poi appendere con fierezza la pergamena incorniciata. E un istante dopo voltarsi verso di me per dire: “Se vuoi rimanere qui, dovrai mantenerti da sola”.  
La pioggia continua, il cappuccio è completamente inzuppato, come le vecchie Converse e i curricula che tengo in mano. Cerco riparo sotto l’insegna del negozio più vicino. C’è solo una saracinesca tirata su. Le luci al neon illuminano una stanza sporca. In vetrina dei cappelli attaccati a un separé di legno dove sono appesi alla rinfusa anche degli ombrelli: alcuni sono grandi, con il manico di legno, altri piccoli con l’impugnatura in pelle. Sul fondo un carrellino bianco con altri ombrelli, alcuni a pois, altri tinta unita. E dietro ancora ombrelli fantasia sul verde, rosso, nero, marrone, buttati negli scaffali alla rinfusa.

In un seminterrato, una luce al neon illumina un tavolo da lavoro dove sono riposti in modo disordinato trucioli di legno, pinze, trapano, cacciaviti, tenaglie, la marsa, puntine, tenoni, canolini, aste, molle degli ombrelli, manici di legno e plastica. Appoggiato a una grata di fronte al tavolo un cesto pieno di piccoli ritagli di tessuto di colori diversi.
Nicola, un uomo sui 50 anni, è seduto con le gambe larghe su una sedia di pelle con le spalle al tavolo.
Il rumore della pioggia, i passi delle persone che corrono e il loro parlottare trapelano dalla grata sopra di lui. In ginocchio, di fronte a lui, Jenny, una ragazza biondo platino gli sta facendo un pompino.
“driiiinnnn” “driiiinnn” “driiiinnnnnnn”
Nicola si alza sbuffando, tira su i pantaloni e sale sul montacarichi. Arriva al piano superiore. Appoggiata alla vetrina c’è una ragazza con il cappuccio. Una donna sui 70 anni si aggira nel negozio con in mano un ombrello. Appena lo vede gli chiede una puntina per il suo ombrello. Nicola la cerca in uno scatolino di plastica e la porge alla signora chiedendole 5 euro. La signora strabuzza gli occhi: “ho pagato l’ombrello 5 euro”. Nicola sbotta: “questo è un problema suo”. La signora esce senza comprare nulla. Jenny sale e parla con Nicola.

Dal negozio esce la vecchia borbottando. Poco dopo esce anche una ragazza biondo platino con un trucco da pornostar, una gonna in pelle, altezza ombelico, un top bianco, stivali, 50 euro nelle mani e un ombrello grande, di cotone, con uno di quei manici enormi di legno. Mi chiede se ho bisogno di riparo ma no. Corro a casa.

Nicola sale nel soppalco del negozio, si siede davanti alla scrivania, accende il computer e una sigaretta. Sulla scrivania la foto incorniciata di un’antica pubblicità di ombrelli di qualità de “L’Ombrellificio pisano”. La connessione non funziona. Accanto al computer un plico di bollette. Cerca tra le bollette, ce ne sono dell’inps, gas, luce, trova quella della Telecom con l’avviso di interruzione del contratto. “driin” “driin” Nicola non si alza. Enza, 50 anni, entra nel negozio e va accanto alla scrivania. Chiede dei soldi a Nicola e gli chiede se ha lavorato, dato che piove. Lui dice che qualcuno è entrato, dà 50 euro alla moglie. Nell’uscire prende il suo ombrello dal porta ombrelli, lo apre ma vede che l’asta è rotta. Torna nel seminterrato, sul tavolo da lavoro illuminato dalla luce al neon. Prende un’altra asta che trova sul tavolo, con pinza e tenaglia toglie l’asta rotta e la cambia. Risponde al telefono, prende degli appunti ma poco dopo risponde scocciato: “No, no, non si può. Ma provi a chiamare qualcun altro, guardi Paolucci importa dalla Cina, lui risolverà tutto”.  

Nicola entra in banca, saluta la ragazza alla reception che gli dice che il dottor Martini lo aspetta nell’ufficio “Legali e contenzioso”. Una volta entrato Nicola esordisce subito dicendo che pagherà ma il dott. Martini non lo fa finire e gli dice che la pazienza della banca sta per finire, che lui se ne è approfittato: il debito è grosso, gli pignorano la fabbrica e forse anche la casa.
Nicola sale sulla sua macchina, una vecchia Volvo degli anni ‘90 con il tetto tenuto insieme da puntine da disegno colorate, il cambio con un manico d’ombrello e la perenne linea arancione della riserva.

Entrato nel negozio, vede appesa al muro una vecchia foto: due uomini vestiti nella moda degli anni ’20 sotto un insegna: “Lombardi & Paolucci - Gli ombrelli più belli”. Sono suo padre e il suo ex socio, poi divenuto rivale. Lui prende la foto, la guarda, e infine la butta a terra rompendo il vetro.
Enza preoccupata raccoglie i vetri mentre entra una signora nel negozio. Si mette a guardare gli ombrelli. A un certo punto si rivolge a Nicola, chiede il prezzo e dice “Questi ombrelli sono molto cari… non ne ha di più economici?”. Nicola risponde che sono ombrelli buoni, di qualità. Lei chiede cos’hanno di diverso, lui ribadisce che sono buoni, ma è impacciato, fatica a spiegare il perché. Lei dice che sono anche fuori moda, che i tessuti hanno fantasie ormai datate. Gli dice che dovrebbe farne di nuovi. Lui si mette a ridere, e dice che non si può fare. La signora esce. Nicola chiama una puttana e fissa un appuntamento per la sera. A quel punto è iniziato nuovamente a piovere, la signora rientra e dice: “Vabbé, mi dia quello blu, e spero che sia buono come dice”. Lui si ritrova con dei soldi in mano.

Dopo due giorni di colloqui in cui tutto sembrava essere perfetto e niente lo era, perché non mi richiamavano mi ero arresa ai classici lavoretti. Iniziando a portare curriculum nei bar, ristoranti, pasticcerie, ovunque. È stato in uno dei più scrausi che rividi quell’uomo strano del negozio di ombrelli. Era solo al bancone, gli avevo fatto un sorriso e lui aveva ricambiato: anche nei posti peggiori dovevo comportarmi come se fosse il lavoro della mia vita: “eh certo! Io ho sempre sognato di fare la barista. Ho studiato Lettere perché mi sarebbe stato utile nella vita ma in realtà a casa, alle feste degli amici, a casa di amici, appena vedo cocktail e ghiaccio io inizio a mescolare bevande per trovare il gusto migliore!!!”

Il giorno seguente Nicola va a trovare un vecchio amico, ex operaio della fabbrica ai tempi di suo padre. Gli parla della situazione della fabbrica, e gli chiede cosa ha fatto lui dopo aver smesso di lavorare. L’operaio è molto sorridente, e gli racconta che ai tempi dell’inaugurazione avevano messo in piedi la fabbrica da zero in sei mesi. Nicola si confida con lui parlandogli di un ordine che avrebbe ricevuto ma molto difficile da organizzare. L’ex operaio è positivo “Magari è un po’ una scommessa, ma si può fare secondo me”. Gli dice che ci vogliono almeno quattro persone per mettere in piedi tutto, e poi, aggiunge, bisognerà vedere quali dei vecchi fornitori sono ancora in pista: ci vogliono i fusti, la stoffa, il telaio e i manici. “Sai cosa diceva tuo padre? Fare un ombrello è come preparare una dichiarazione d’amore per una ragazza: ci vuole cura, perché si sta creando qualcosa che deve farti star bene quando ti ci trovi sotto”.
Questo spinge Nicola a richiamare l’azienda automobilistica che l’aveva contattato per accettare l’ordine. Nicola telefona, ma sa che non ha soldi. Dice all’azienda che ci vogliono sei mesi minimo, e che serve un anticipo. Discutono, e alla fine l’azienda accetta di dare l’anticipo, ovvero la parte che copre le spese, se di mesi ce ne mette quattro. Ora servono operai, Nicola pensa alla moglie, l’ex operaio vecchio ha detto che ci sta, quindi manca una persona. Non sa che pesci prendere e va al bar, si ricorda della ragazza che aveva portato il curriculum e chiede al barista se può passarglielo.

Quando arrivo di nuovo davanti a quel negozio di ombrelli, Nicola, il proprietario mi riceve come se fossi una regina: “ecco il mio angelo” mi dice. Ma angelo di chi? Una proposta di lavoro, la prima proposta di lavoro da laureata: cucire degli ombrelli. Io che andavo in giro con la giacca senza bottoni piuttosto che cucire qualcosa e che non usavo un ombrello da quando avevo iniziato a ragionare. “Questo posto sta cadendo a pezzi!!!” Dovevo diglielo, sì, con convinzione. Ma lui risponde: “Ho ricevuto un grosso ordine. Hai bisogno di soldi oppure no?”  “Sì,” la risposta era “sì, ho bisogno di soldi”.

Il risultato è che mi ritrovo in un seminterrato, attorno a un tavolo messo in piedi alla buona e un enorme foglio bianco. Di fronte a me questo tizio sui 70 anni, tal Maurizio, esperto di ombrelli, a destra Enza, una donna che fuma 10 sigarette all’ora e non ne finisce nemmeno una e a sinistra, a capotavola, con un enorme pennarello blu Nicola che scrive sul cartellone i ruoli e parla di pulizie e spazi da liberare per la merce che sarebbe arrivata.  
Che poi Enza e io puliamo, Maurizio inizia a ricordare i tempi in cui “la fabbrica, il padre di Nicola, Nicola piccolo…” e Nicola chiama i fornitori che sono contatti così vecchi che qualcuno ha chiuso, qualcuno è diventato una pasticceria, qualcuno ride. Alla fine uno gli chiede di passare da lui per parlare dell’affare e Nicola mi dice “Molla tutto e vieni con me”. E non abbiamo parlato del contratto, della paga, delle ore di lavoro ma non oso chiedere niente che forse è già una fortuna se posso dire di avere un lavoro.

Siamo arrivati in un paesino della provincia pisana dove una volta tutti lavoravano nella fabbrica di fusti e ora sono tutti morti, molto vecchi o andati via. È il paese dove Nicola dice di aver conosciuto sua moglie ma non approfondisco troppo. Il fornitore è molto vecchio pure lui, si fa spiegare da Nicola ciò di cui h bisogno ma lui non è convinto. Non è convinto nemmeno lui. Ed è stato in quel momento che ho sentito che tutti gli anni di Università aggiunti a qualche mese di presentazione ai colloqui mi potevano essere in qualche modo utili. Ci parlo io con il Fornitore e gli dico che il mercato sta cambiando e che dobbiamo impegnarci tutti e lui in prima persona. Ombrelli senza fusti non ce ne sono ancora. Lui sarà parte integrante del progetto, che è collettivo e poi, quando saremo diventati importanti per aver riportato gli ombrelli “alla moda” lui avrebbe potuto sentirsi parte di questa cosa. O dentro o fuori. Ed è fatta, abbiamo i fusti, quanti ne vogliamo. Che lui poi non si capisce che tipo è, burbero e incapace ma poi mi offre da bere e mi chiede: “Da dove le hai pescate tutte quelle cose sugli ombrelli?” E io gli dico dell’Università, dei colloqui, che devi improvvisare, sempre.

Se uno vuole costruire un ombrello ho imparato che la stoffa è il problema più spinoso. A parte il nero o colori improbabili rimasti nelle tessiture come il fucsia o le fantasie a fiori, non si trova più nulla. E mentre io chiamo ovunque, mentre Maurizio scarta i fusti e si lamenta del lavoro dell’azienda che “una volta era meglio” Nicola, chiama donne dai nomi improbabili come Jenny, Jacqueline, Tiffany. Che entrano in negozio, lo portano giù nel seminterrato e poi salgono, tranquille, come se niente fosse, prendono i loro 50 euro, un ombrello omaggio e via. E allora io non ci sto, e glielo dico. Non per via delle puttane perché ognuno poi fa quello che gli pare ma i soldi, quelli della banca, quelli ottenuti con la garanzia del lavoro non possono essere buttati via in questo modo.

Nicola s’impegna e con un trucchetto che usava suo padre, riesce a trovare il fornitore giusto.
Il giorno dopo mi chiama, con la scusa dell’“urgenza dell’ombrello” e si presenta avvolto in campione di stoffa bianco, “Abbiamo anche il tessuto ”. Racconta che una volta aveva visto una foto di sua mamma che indossava un vestito proprio di quel colore. Che suo padre aveva messo in piedi la fabbrica dopo essere stato in Giappone, e che aveva sempre detto che un ombrello era stato il modo con cui aveva conquistato sua moglie. Ed io glielo dico che gli ombrelli non li ho mai capiti. Insomma, li apri, si rompono, li dimentichi, il cappuccio è più comodo. Questo Nicola è strano. Burbero, scostante, disinteressato, approssimato, ma poi inizia a chiedersi chi possa aver inventato l’ombrello e perché e inizia ad appassionarsi.
Arrivano i fusti, arrivano le stoffe, Nicola m’insegna a cucire e mentre gli ombrelli che cuce lei sono perfetti i miei hanno dei cuscinetti di filo attorno ad ogni puntina. Ma mi dicono che è questione di esercizio. In un cassetto trovo un vecchio disegno col simbolo giapponese dell’ombrello. Glielo dico che “io vorrei fare la scrittrice ma non riesco a scrivere” ma lui non parla, dice che non può dare consigli. “Ma perché hai deciso di voler fare gli ombrelli?” E Nicola rimane zitto. “Non lo so, non me lo sono mai chiesto. Mio padre lo faceva.”
Finalmente arrivano anche i telai e iniziamo ad assemblare tutto. E sono diventata una maga del cucito.  

Una sera il vecchio Maurizio viene da me e mi dice che è triste per Nicola, perché per la prima volta si sta impegnando come faceva suo padre, e gli andrà male, non ce la farà in quattro mesi, è impossibile. Rischia di fare l’errore di suo padre, che per testardaggine si era ostinato a fare ombrelli di alto livello nonostante il mercato andasse in un’altra direzione. Si era buttato in un’impresa impossibile e aveva fallito, riuscendo a tenere in piedi la fabbrica solo con i soldi della moglie. Da quel momento in poi la fabbrica di ombrelli era diventata il suo oggetto più prezioso, e l’aveva tenuta in piedi con tutte le sue forze per poterla dare al figlio Nicola, che però non ne aveva mai apprezzato il senso finora. Il vecchio operaio dice che c’è Paolucci, il vecchio socio del padre di Nicola, che rileverebbe materiali e ordine per un prezzo vantaggioso, le spiega che è l’unico modo per Nicola di salvare il salvabile, altrimenti andrà tutto a puttane.

I simboli giapponesi mi sono sempre piaciuti, per questo voglio riguardare quello dell’ombrello nascosto nel cassetto. Nicola mi racconta di come suo padre aveva deciso di fare gli ombrelli perché aveva fatto un viaggio in Giappone con sua mamma, si erano innamorati apprendendo che in Giappone l’ombrello è il simbolo dell’amore. Così glielo dico che Maurizio vuole portargli via l’ordine e consegnarlo a Paolucci, Nicola s’incazza, caccia il vecchio operaio, che andandosene dice che fallirà perché non ha mai messo un briciolo di senso in quello che faceva, e gli dice che ora è troppo tardi per cambiare una vita di menefreghismo.
Ormai con solo tre persone e i manici che ancora mancano non c’è più nulla da fare. E allora chiamo i nullafacenti dei miei coinquilini che si offrono tutti di dare una mano. In una corsa contro il tempo, molto simile a quando mancano trenta pagine per finire un esame da sostenere il giorno dopo, riusciamo a finire tutto. Nicola chiama l’azienda di automobili ma non gli risponde nessuno per tutta la mattina. Decide quindi di andare in sede per portargli l’ombrello finito.
Quando arriviamo, scopriamo che la società è fallita: un grave difetto di progettazione ha costretto a ritirare il modello dal mercato delle auto e ha fatto crollare tutto. L’ordine è saltato. Nicola è insolvente, e nei guai fino al collo con la banca.

Il negozio è pieno dei 10.000 ombrelli con il marchio dell’automobile che dovevano essere consegnati. Nicola mi dà i soldi, non voglio prenderli ma insiste: la mia prima paga, nessun contratto, ma sono sempre soldi. Lo saluto e me ne vado. Arrivo a casa, apro word, osservo il foglio bianco per una buona mezz’ora. Avevo sempre cercato una storia da raccontare e ora ce l’avevo. È questione di fare il primo passo, è questione di iniziare a cucire, di tenere in vita un’azienda, di scrivere la prima parola.

Nicola è in negozio: è davanti al computer ad aggiornare la pagina face book del negozio. “driiin” “driiiin” “driiiin” Scende subito. Una signora gli chiede di riparare un ombrello, lui in due minuti lo fa e la convince a comprare anche un nuovo modello che hanno appena finito, con una stoffa particolare. La signora esce, prepara degli scatoloni da spedire a un’azienda. Arriva il corriere espresso che gli consegna degli scatoloni e ne prende di altri. Nicola apre i colli ricevuti e sistema gli ombrelli nei vari scaffali mentre Enza sistema la vetrina.

Dopo un mese passo davanti all’Ombrellificio e l’insegna è cambiata, c’è il simbolo giapponese dell’ombrello. Entro e vedo Nicola che si destreggia tra un cliente all’altro. Ci sono ancora degli scatoloni con dentro i 10.000 ombrelli stampati che avevamo costruito. Continua a entrare gente, c’è chi ordina ombrelli su misura, chi ne fa riparare di preziosissimi, chi vuole cambiare il manico, chi la stoffa. Mi metto in coda. Appena mi vede mi abbraccia, “la sua sarta preferita” dice. Prima di uscire il bottone della giacca me lo sono attaccato da sola in due minuti. Mi dà uno degli ombrelli con le stampe, mi metto a ridere e gli porgo il mio plico di fogli: “vorrei che fossi il primo a leggerlo e a dirmi che ne pensi”. Lui mi guarda: “un romanzo??? Sarà il primo che leggerò nella vita proprio!!!” Gira e rigira i plichi dei fogli. “-Molla tutto e vieni subito con me-“ mi guarda con faccia interdetta “bel titolo Corinna.  Bel titolo”



 














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